Il Pitti 104 è come una scatola di cioccolatini
Il Pitti è come una scatola di cioccolatini, ogni stand, ogni sua sfaccettatura, diventa come un gusto nuovo, alternato tra la passione per il cacao ed il caramello salato, il cioccolato fondente ed il peperoncino.
Un universo che si schiude dentro quella stupenda cornice, appunto una deliziosa scatola, che è Firenze.
La città della Rinascenza, delle novità di Bramante e di Stilnovo e Dante. Dicono di Firenze che ci sia arte ad ogni angolo e, dentro alla bomboniera del Pitti, ogni pertugio diventa manicaretto di bellezza e ricerca.
Ogni volta il Pitti vi racconta l’universo di un mondo fatto di particolarità del carattere maschile. Quella forma di dandismo che ormai calca la passerella del cortile della fortezza: abiti sartoriali che gridano alla voglia di identità e forza, voglia di stupire evocando la tradizione del guardaroba maschile e scimmiottando quelle sinuose eleganze del passato per ridarsi energia con stimoli contemporanei.
I colori si scaldano e ritrovano il loro equilibrio tra il pastello, che ha invaso le stagioni passate, e la luminosità delle precedenti sgargianti declinazioni. Tutto ritorna su una voglia cromaticamente sotto il tono del chiasso. Un caldo ed avvolgente tango che si fa ballare con educata e provocante morbidezza, in contrasto con i chiassosi swing che hanno fatto ballare i Peacocks della fortezza negli anni passati.
Il covid ha forse esaurito l’urlo alla socialità e ci si riporta verso un educato colloquiare non più con il caso, ma con selezionate misure. Rimane e persiste il gusto per “lo stupire” anche se queste “code” (di pavone) prendono forza dagli accessori, qualche spilla da giacca, il fondamentale cappello, per lo più in variazione sul tema “Fedora” (con qualche piccola e rara citazione sahariana nelle trame del lino), le borse che ormai sono parte imprescindibile dell’attitudine maschile, sperando che quanto prima esca dal guardaroba delle strade il borsello crossbody! (Temibile!). Resta fondamentale il doppio petto che si allontana dalla sua definizione neoclassica che lo impone fasciantemente rigoroso ed incravattato. Qui, nel caldo fiorentino, si aprono le giacche con t-shirt e foulardini o camicia sbottonata, si racconta una (finta) disinvoltura ed un (sempre finto ovvio) “non mi prendo troppo sul serio”.
Come in tutte le bellissime scatole di cioccolatini, c’è quello che vorremmo scartare, quello che rispettosamente ci nausea ma che incontra l’amato peccato capitale di taluni e, lieti, a lor li lasciamo. È pur vero che Pitti ha la sua storica magia e che, a mio parere, continuare a cercar stimoli nello sperare che possa prendere un posto sempre più mondo-centrico e dare alla moda maschile il suo imperturbabile regno, dove anche chi vive di passione e arte, abbia la possibilità di aprire la romantica pagina del proprio diario e scrivere la sua visione della fiera, la visione del suo modo di leggere moda e arte, sarebbe una aristocratica democratizzazione che segnerebbe la rottura con dittatoriali arcaismi.
Il grande potere della Fortezza di sopravvivere è proprio fatto da quei sognatori e viaggiatori che, tra valige, sanpietrini e calli ai piedi, si scapicollano tra le trame dei tessuti ordendo i sublimi complotti di stile che fanno epica l’esperienza al Pitti.
Ma, in fondo, la bellezza del mondo sta anche nel sognare l’impossibilità di talune delle sue forme; dietro a quello che si pensa esser un parterre di lustrini ci sono sempre quei calli appassionati che sudano sforzi ed impegno.
Tutti dovrebbero vivere l’esperienza del Pitti, purché si sia consapevoli che quel cioccolatino che non amiamo, in realtà può esser la forma del mondo sognata da qualcun’altro e con essa il desiderio di proiettare nella realtà quell’immagine del sogno tanto desiderato.
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