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#Mfw: Dolce & Gabbana, poetica dell’italianità

Non bastano quattro lustrini e qualche gioco d’oro lungo corone o asole. Amici cari, parlando di Dolce & Gabbana, non può venir in mente che la Sicilia. Eppure durante questa edizione della Milano Moda Donna, i talentuosi stilisti della mediterraneità non si sono limitati a raccoglier sguardi tra le bellezze della loro amata isola, ma hanno trascritto e tradotto ogni forma caratteristica delle più belle città italiane in capi ricchi di barocca natura tipica della loro Maison.

Follia e storia, si contaminano vicendevolmente, regalano all’occhio quei pungenti attimi di realtà che diventano irreale sensazione di follia. Come poter raccontar un paese intero con le sue mille sfaccettature in una collezione di moda? Dolce & Gabbana, sa farlo con ammaliante esaltazione della femminilità. Riescono con curiosi giri floreali e citrici a raccontar Verona come Palermo. Icone della nostra italianità, frutto di secoli di stereotipi e storie che diventano insieme celebrazione dell’ignoto e del conosciuto. Non mi interessa di fatto andar troppo oltre, tanto poche persone sanno guardar ove io scruto l’inconfondibile eccentrico tocco. Basta così poco per trasformare un capo di abbigliamento in piccola opera di celebrazione e critica della nostra amata identità. Eppure l’ironia che attraversa i conformismi che ci contraddistingue si mette a nudo – anzi veste – di una qualità rara ricca di pizzi ed installazioni vegetariane che diventano il condimento dell’infinito desiderio del palato, occhio intransigente del nostro cuore italiano. Chissà cosa si porta dietro nel mondo questa collezione…
Infondo però Dolce & Gabbana, ha fatto dell’Italia, del suo paese della sua cultura un vessillo da celebrare nel mondo, e non fosse altro per questo essenziale motivo, la Maison ha tutta la mia stima ed il mio rispetto.

Sono quasi convinto che le voci più critiche hanno gridato all’opulenza e chissà quale altro curioso epiteto, ma non mi stupisco che in un parterre ricco e differenziato vi sia spazio per la critica del gusto senza comprender nulla che sia al di là del proprio naso. Di fronte all’idee spesso si è spaventati, capir cosa si è, è molto meno interessante del come, ma sopratutto, più difficile.
Talvolta penso che non debba esser facile realizzare provocazioni e stimolar le menti altrui, ci si imbatte nella quantità e non nella qualità…
Tante volte ormai sono giunto alla conclusione che le scelte difficili sono quelle che alla fine, anche se non pagano, almeno ti permettono di guardarti allo specchio. Mi chiedo se anche Domenico e Stefano, hanno pensato alla bellezza della loro collezione in questo senso: una provocazione, una crescita, o è tutto mero sbrilluccichio?
Credo di no…

Schermata 2015-10-20 alle 10.35.34Respiro un climax ironico e sincero nelle loro collezioni, in realtà è come se tanto si aggiunga alla figura della donna, quanto in realtà la si spogli dell’effimero. Come se l’opulenza fosse un mero strumento nelle mani degli stilisti per semplificare il concetto di madre, figlia, DONNA. Speculazione e ragionamento che magari invece non esiste nella mente di chi ha creato tutto questo mondo; “ceci n’est pas une pipe”. Eppure, nel mio modo di vedere la moda, sono convinto che ci sia sempre una matrice diversa che spinge le persone a credere in un qualcosa di più alto. Mi piace illudermi che la bellezza di questo anti-meritocratico universo della moda, abbia in se l’infuocata necessità di energie e talenti che credano nella qualità delle storie, dei prodotti e delle idee.

Oggi si traduce in questo racconto la collezione di Dolce & Gabbana, nella fantastica visione di un mondo ricco di luci che in realtà risplende grazie alle sue stesse ombre.

 

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