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#fashionexpress – #MFW: Gucci

Un’arena, una giostra, un carillon. Dame, toreri, signorotti e garzoni, zingare. Ormai Alessandro Michele, nella sua interpretazione del marchio Gucci, caratterizza e caricaturizza le simboliche identità di genere.

Nello scandire il trascorrere del tempo non come flusso incontrollabile, ma come chiaro strumento ritmico che, sotto la guida di un attento compositore, si erge ad artista del tempo e dei tempi, in un caso analista del presente, nell’altro precursore edonista del futuro.

Dichiara forte il suo discriminare l’uguaglianza, l’omologazione ed al contempo la categorizzazione. Descrive le sfumature evocative dei fanciulli e delle fanciulle, racconta con il linguaggio del “puer” l’animo pascoliano fanciullesco, riscrivendo un’antologia che parte dal dolce  stil novo per giungere all’avanguardia futurista.

Un immaginario simposio in cui siedono Beatrice, Silvia, Elisabetta I e Giovanna D’Arco a bere birra e assenzi con Wilde, Richelieu e Marinetti mentre Savonarola bacchetta i mali del genere umano con uno spinello in mano.

Alessandro Michele, ed il suo Gucci, è forse dissacrante, forse eccessivo, quanto l’immagine che mi si sta creando in testa in questo ennesimo trattato psicotico e psicologico del genere umano che fa del surrealismo gocciano un punto di riflessione e di distacco, non tanto per il concetto di “bello” quanto per il pensiero collettivo di: massa, moda e banalità.

Matador: il toro è sconfitto, la giostra può spegnere le sue luci per lasciar al genio il momento del suo ludico sorriso.

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