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La Medea di Mario Dice

Vendicativi amici della moda, sulla passerella della Milano Fashion Week, nel “teatro“ di Lineapelle a Rho, va in scena la Medea di Mario Dice.


Dicotomica donna quella di Mario Dice, come la Medea che la lirica regala attraverso la scrittura di Cherubini; una donna audace, retta dalla passione ardente che si descrive nell’immaginario attraverso le sue vesti incandescenti che uccideranno Glauce, futura donna che, indossando le vesti di Medea impregnate del potere magico della donna (la sua ardente passione ed il fuoco della vendetta che cova) porteranno la ragazza a distruggersi nel tentativo di trovare la sua maturità, il confronto con il futuro, l’abbandono del suo “sé più debole” come cita M.D., quei gesti stilistici che l’autore di questa “Opera su vesti”, racconta con il suo saper leggere quell’animo plurale e intenso della femminilità.


In questi passi audaci si legge il distacco tra la primavera del corpo e l’autunno dell’animo, un bacio metrico costante con un susseguirsi di stagioni di vita che illudono una lettura endecasillabica, ma invece sono costrutti di versi debitamente accentati, incalzanti, che costringono anima e corpo ad un continuo rinnovarsi: una lite (ahimè, non eterna) tra passato e presente, un futuro che invece solo la magia potrà donare, un cammino scritto sulla sabbia destinato ad evanescersi travolto dal vento della passione che accieca Medea.

Divina per stirpe, potente per magico destino, la Medea si risveglia nel novecento scaligero con i vibrati sapientemente colorati della Maria Callas che riportano quelle tragiche sensazioni come bulbi piliferi lungo le schiene degli ascoltatori. Mario prende questa vibrazione, queste forti passioni viscerali, profonde e le trasforma in una collezione da vivere con ardore, rende il capo scultura in movimento: un “opera comique” dicotomica per forma e assurda per sostanza.

Opera e Moda si incontrano come il Canto incontra il Teatro sulla scena della Scala del 1953 grazie all’interpretazione di Maria Callas, così trasparenze, pizzi e volants diventano il linguaggio con il quale Mario Dice si fa poetico portatore di quest’Arte. Ne riscrive la prosa, ne incoraggia le musiche e ne stravolge i drammi. Le laserature ed i pizzi intagliano l’anima, cuciono sinuosità, e si alternano nelle loro declinazioni, tra misticismo, purezza e forza. La maga che sta dentro ad ogni donna emerge in ogni sua potente declinazione, facendosi poetica portatrice delle sue più intime paure, profonda scopritrice del domani che volge un severo sguardo con vigore al proprio passato.

Schiava della propria passionalità Medea è anche nobile calcolatrice, divina ed austera signora divisa per genetliaco tra sole e luna, tra luci ed ombre, segna il suo desiderio ed istinto, si veste di ambigui animalier che prendono vita dietro alla sua razionale forza. Geometrie e tagli si fondono con trasparenze e morbidezze. Il fuoco è l’ultima uscita, il rosso, il sangue, la tragedia, tutto si chiude con un chiassoso silenzio e si fa grande proclamatore di una identità che tende all’anima, sciogliendo le sue trame per dar in fondo, con il suo assolo finale, la pace: Donna.
L’arte cala il sipario.

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