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Trattato sul dandismo contemporaneo: parte 4° – Valeorchid

Da un po’ di tempo il pensiero che il dandismo sia di moda, mi spinge alla ricerca di nuovi schemi interpretativi della dimensione più “perversa” della moda. Il paradosso dell’assioma “di moda” nella struttura contemporanea del fashion maschile, mi convince che le direzioni più alternative ed avanguardiste del sistema possano esser il superamento di questo insolito paradigma.

Sulla scia di questo ragionamento si installa la convinzione che l’opulenza che ha caratterizzato il concetto di “dandy” lungo gli ultimi due secoli debba ormai trovare altre declinazioni, recentemente coniugate in mix and match, colori e pattern abbinati con una apparente casualità (su questo poi bisognerebbe vedere quanti effettivamente costruiscono l’edificio del proprio look con fondamenta ispirazionali reali). Lo spirito di ribellione mi induce a guardare al minimalismo ed a spostare il focus verso un Oriente sempre più occidentalizzato, orientalizzando l’Occidente.
Trovo quindi tanto nella ricerca filosofica, quanto in quella di stile, uno stimolo profondo nel minimalismo Zen contaminato dalle contemporanee esigenze di uno streetwear dinamico quasi hip hop.
 

 
Siano quindi i valori della purezza, tanto nella linea del fit quanto nella sua essenzialità cromatica a complicare la ricerca dello stile, una sorta di atomizzazione del dandismo per tentare di riprendere l’ideale di unicità creativa che caratterizzava il “movimento”.
OMAR è stato, da questo punto di vista, il motore dal quale è partita questa tensione verso un’interpretazione street della moda maschile (ne abbiamo parlato qui). Oggi la pennellata di carattere incisivo viene fuori dalla sperimentazione con Valeorchid, il marchio di una ragazza italiana che rideclina e reinterpreta i grandi canoni della tradizione orientale, lasciandosi trascinare in un caldo flusso circolare che travolge lo Zen con un’estetica che si trasforma e adatta sulla base della visione dinamica tipica della marzialita giapponese.
In queste discipline il cerchio, il flusso, la circolarità rappresentano l’essenza di un simbolo discusso ed universale come quello dello Ying e Yang. Tanto sinonimo del Taoismo come rappresentazione di un equilibrio spirituale, quanto espressione di armonia estetica definita nella lettura di una moda contemporanea seppur di nicchia.
Ora la sua evoluzione, nel mio quadro, si pone tra un’essenzialità tipica di uno spazialismo nel quale si installano contemporaneità trascendenti/amateriche, e un onda degna di Hokusai che sparge suggestioni iconiche, austere ed antiche di una cultura immortale.
Il dandismo, egolatra ricerca del Bello, trova nella creatività e nella sua dimensione soggettiva il vero idioma con il quale esprimere la profondità di una identità.
 

 
Contrariamente alla descrizione che ne fa Honoré De Balzac, il dandismo nasconde nella sua superficialità una profonda ricerca dell’Io, scavato su modulate ricerche estetiche, tra sofismi costruiti sulla bellezza e dicotomiche questioni esistenziali. Il dandy, per definizione, non potrà mai annoiarsi, salvo della banalità, nemico dal quale si difende con le armi dell’eclettismo e dell’eccentricità. Giammai egli deve vincolarsi a fedi che possano impedirgli di nuotare tra i mari della scoperta e della ricerca, tanto di sé quanto degli estetismi che lo circondano. Chi riduce il dandismo ad un gilet e qualche nodo di cravatta, in realtà stringe un cappio di seta all’identità di questo stile. La perfezione con la quale il dandy vive il suo mondo è cronica esaltazione di un pensiero che non può che fluire in affascinanti virtuosismi stilistici che si traducono, come per un ballerino, in mille fluttuanti movimenti tra classicismi barocchi e, perché no, minimali contemporaneità.
Valeorchid, distante dal meccanismo della moda – in senso comune – rappresenta quella dimensione di ricerca che trasforma una filosofia di vita essenzialista in un tripudio di significati e valori su trame ed orditi: intrecci di fibre, naturali, che invitano l’ego a confrontarsi tanto con la Natura che lo circonda quanto con la sua intimità. L’anima viene pizzicata, come un arpa, dalle morbide falangi dei tessuti, sostenibili e sostegno della profonda interiorità che da essi si sprigiona. L’attenzione verso questa melodia, è arpeggio di giocose ispirazioni, volumetriche modularitá che possono essere libero e plastico gioco dell’individuo nel plasmar la propria figura rendendola unica, singolare e personale. Valeorchid conduce alla riflessione sul corpo e sul suo spazio prima di poter esser avvolti da un suo capo, una insolita consapevolezza che vuole scolpire la soggettiva empatia con il cosmo, un contemporaneo gnōthi seautón; il bianco ed il nero diventano quindi il formale pentagramma cromatico nel quale le alternanze di forme, geometrie e volumi, suonano il nostro personale concerto di stile e fascino.
 

 
Sebbene questa digressione parli al dandy ed alle sue peculiarità, tali elementi concettuali subiscono un’ancor più ammaliante equazione qualora le variabili di genere portassero il peso della femminilità. L’alchemico racconto speculativo, che ha visto questa penna concentrarsi su Marte, esplode quando Venere entra nell’orbita di una definizione di se stessa lasciata alla profondità dello sguardo acuto. In uno stile così etereo ed essenziale il concerto del maschile ego, lascia posto all’Opera di una divina Virgo, il tripudio di suoni ed armonie risplende di identità femminile che necessita di carezze e morbide illusioni che fanno dei volumi e delle silhouette indefinite un climax di visioni e fantasie. Una sorta di velo che definisce con dolcezza, lasciando al pathos l’impegno di delineare linee e misure, volumi e simmetrie; un’Opera che, come il sapiente Sanmartino, si adagia su talami scultorei di una Moda fatta di personalità carismatiche e scultoree, uscendo dal “circo” per edificare una cattedrale o forse meglio un tempio, luogo per il culto del Bello.
 

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