Pitti108: la favola della bicicletta
Bikes, il tema del Pitti 108 e le riflessioni su un’identità maschile su due ruote.
Dopo ogni Pitti le riflessioni salgono alla mente come perlage di un vivace champagne. Sicuramente l’innovazione della bici ha trasmesso, fin dalla sua origine, un senso di libertà, di avanguardia, ed oggi continua a farlo con il suo potere green che sconfina i tempi per proiettarci su un futuro responsabile.
Ma mi permetto di accostare un’altra metafora, forse meno simbolica ma pur sempre poetica ed evocativa. Lo faccio attraverso un racconto, come potrebbe essere il racconto di un nonno che in fondo con la bicicletta, negli anni del novecento della ricostruzione, ha ricostruito una modernità che noi spesso non siamo poi così bravi a pedalare.
Questo racconto parte da un protagonista, un immaginario osservatore, un critico d’arte che si chiama Paul e che vive nel periodo in cui le ciminiere iniziano a fumare e con esse i treni e le pipe. Anche Paul fumava la pipa e si sentiva un treno, poiché nelle arti del suo periodo era quello che vedeva rappresentato. Eppure, nella sua vita di critico d’arte, si muoveva tra le pennellate romantiche di Delacroix e le innovazioni dell’Impressionismo. Un uomo del suo tempo, Paul, immerso in una quotidianità che a fatica, ma con grande entusiasmo, cercava di capire; proprio il suo legame con l’arte ne era la mistica rivelazione. I giorni passavano e tra le osservazioni e la cura del suo sguardo, Paul viaggiava con la contemporaneità su una bicicletta a pedali, ogni tanto scosso dai binari di quei treni che, col fumo della pipa, gli facevano lacrimare gli occhi di emozioni pittoriche e non solo. All’improvviso, un giorno, presumibilmente uno dei tanti, Paul sarebbe dovuto andare a valutare un’opera. Era emozionato, dei galleristi gli avevano parlato di un giovane pittore, un talento, così lo descrissero.
Quel giorno si recò puntuale all’appuntamento in galleria e, distesa l’emozione con qualche tiro di pipa, deragliò dal suo percorso per dedicarsi un caffè. Amava il caffè quanto l’arte e il bistrot proprio all’angolo era uno dei migliori della città. Orologio nella mano, pipa tra le dita e caffè tra le labbra, monitorava il tempo. Stava per iniziare una nuova avventura. Tenuta d’occhio la bicicletta, appositamente stazionata nell’apposita stazione, solcò il tempio della galleria per immergersi. Ciò che vide lo gelò. Improvvisamente, il carbone della sua locomotiva sembrava esser stato travolto da una slavina, la pipa si spense di botto. La meraviglia di ciò che stava osservando non gli consentiva di applicare i suoi normali ragionamenti. Aveva sempre dato occhio ai dettagli, eppure in quelle tele non vi erano dettagli, ma solo colori, in quelle tele non vi erano storie e scenari, metafore e allegorie, si erano ridotte a vuoti, tagli, colori. Tale Lucio, ridefiniva forme e spazi, apriva all’arte pittorcai una nuova dimensione e nuovi movimenti, non riuscì ad interagire in quel momento, si sentì, animato dallo spirito della conversazione di dire: “Signor Fontana ma anche lei usa la bicicletta?”.
Paul non capiva, era sinceramente perplesso e decise di risalire sulla sua bicicletta e correre verso la sua amata arte, quella vera. Il Solstizio stava per illuminare di luce nuova le tenebre della conoscenza, era una giornata calda e afosa. Paul sudava mentre la sua bicicletta sfrecciava come un treno ad alta velocità verso la sua abitazione. Non era realmente sconvolto, ma intellettualmente dubbioso, confuso e curioso. Cercava in mille risposte il senso di ciò che aveva visto. Andò a letto, si sa “la notte porta buoni consigli”. Al suo risveglio però si sentì ancora strano e confuso. Aprì un libro e si mise a leggere. Leggendo le pagine del suo libro inizio a materializzarsi il concetto, l’idea che ci fosse stato uno strano gioco del tempo e dello spazio. Com’era possibile quella pittura, quella pittura alla quale mancava una spiegazione ambientale o sociale? Era come se fosse stata buttata lì, senza dare il tempo al suo sguardo e a quello del mondo di seguirne l’evoluzione. Gli fu chiaro che quel taglio rappresentasse un vuoto storico e non sapeva da dove potesse venire o dove avrebbe portato. Era chiaro che la sua passione per l’arte aveva bisogno di una nuova idratante linfa.
Prese la sua bicicletta e corse in galleria, aveva bisogno di guardare di nuovo quelle opere e dare loro un senso più compiuto. Fu solo allora che realizzò di essere lo spettatore di una magia. Due ruote artistiche viaggiavano in contemporanea legate da un filo di metallo: la classicità della pennellata che rincorreva in eterno, senza mai poterla raggiungere, la modernità spaziale. Mancava qualcosa lì nel mezzo, una poetica narrativa che potesse legarle e fonderle, una visione unificante che potesse spiegare quel passaggio “da un estremo all’altro”. Solo una cosa legava i due mondi… una bicicletta: quella dei viaggi di Paul e quella domanda fatta a Fontana.
E’ quello che racconta il nostro Pitti, in ogni parte di noi ci può essere un pezzo di Paul: lo stupore per una realtà ipercontemporanea, forse eccessivamente lontana da noi, come se fossimo stati catapultati, solo per quel frame, in una visione fuori dal nostro presente, in un futuro lontano, oppure l’essere rassicurati dalla classicità, dal romanticismo, dal realismo a volte letto come impressionismo.
Mi pare di leggere spesso proprio questa difficoltà negli osservatori della moda maschile. La sensazione di una mancanza, la paura dell’ignoto, del nuovo e la convinzione che poche pennellate possano essere la reale evoluzione di uno stile spesso immobile nei suoi preconcetti e nelle presunzioni. Le stesse presunzioni che portano a vestirsi di arroganza e nascondersi dietro alle etichette. Basta definirsi artisti? Basta definirsi esperti/critici, per “giudicare” l’arte?
L’arte, oggi più che mai, non si può limitare ad un’attività produttiva, ma ha bisogno dell’umile attitudine alla scoperta, la curiosità per l’ignoto, la voglia di pedalare tra passato e presente senza travolgere sui propri binari la bontà d’animo di chi crea col cuore.
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