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Trattato sul dandismo contemporaneo: parte 3° – Omar

Si distendono le convinzioni che il dandismo faccia parte di un’epoca contemporanea soprattutto nella dimensione che lo interpreta come una accozzaglia di iconici capi del guardaroba maschile. Il DNA del dandy è ormai fossilizzato lungo torrenti innegabilmente statici e divenuti ormai espressione di un conformismo: ossimoro.

Dinnanzi a questa assurda immobilità di stile, il dandy oggi deve ritornare alla sua missione; stupire, reinterpretare ma soprattutto rivoluzionare. Ove si è creata opulenza leggere minimalismo, ove si sono stretti fit esaltare volumi, ove si sono lette trame ed orditi tradizionali cercare cromatismi e stampe.
 

 
In questo quadro di noia, la struttura di uno spleen, di una tensione verso l’anticonformismo deve rileggersi nella meraviglia, nell’incredibile ricerca di uno stile unico e personale. Costoro sono il legame con il mondo del reale, dello urbanchic che ha bisogno di iniezioni di coraggio e stile. Omar ha fatto del gioco di volumi, dell’ispirazione filosofica ed antropologica, il legame di austerità e ricerca che trasformano la misantropia in una discreta forma di stile metropolitano. Già nel suo crepuscolare modo di leggere il fashion, si intravede una metamoda, un modo di andar oltre il glamour, per tradursi in una base e saranno solo lo stile e le capacità di interpretazione soggettiva a fare sintesi di questo teoretico progredire. La folle magia di Omar risiede nella trasversale metafisica dello stile, metamoda appunto; tanto questi capi singolarmente possono essere espressione di una contemporaneità modaiola, sicuramente commercialmente intriganti, quanto il loro potere sta nel passaggio interpretativo, poiché essi sono la tela sulla quale dipingere futuri multidimensionali: Incroyables! Proprio citando l’epoca post rivoluzione francese con tutte le sue contraddizioni e complessità sociali, il tema di una dimensione demografica, il tema di una sorgente “spleen” – misantropica, la nausée etc formano il calderone di uniformità cromatica da cui trasparenze, asimmetrie, tagli e strutture fanno poetica pietanza. Non vi è semplicità se non nello sguardo della superficialità.
 

 
Ed a noi dandy, la superficialità attira perché in realtà è il luogo nel quale giocare sulla profondità della complessità umana e farne scherno, ironia dei destini che noi, critici giullari, dobbiamo esaltare ed esaminare. Il nostro impegno sta lì, dietro l’angolo della conoscenza, ove l’ignoto, l’ignorante, dà sfogo al suo saccente pregiudizio; pane per i nostri denti. Ecco perché Omar sarà al Pitti, tra i concorrenti finalisti di “Who is on next”, a dimostrazione che anche i dandy si debbano render di nuovo conto della dimensione che rischiano di congelare. Per Omar, la ricerca non finisce sicuramente, il suo “incredibile” lavoro, continuerà proprio perché noi difensori della metamoda, abbiamo bisogno del genio visionario di chi, leggendo la contemporaneità, la traduce in un viaggio libero nel mondo di fantasie ed interpretazioni.
Le dinamiche di conformità avvolgono il modo di camminare per le strade, il dandy è di moda. Il dandy fa moda, crea esigenze basate su effimeri dettagli che da chiassosi canti di superficialità diventano grida d’animi sognatori. Il punto di arrivo di questo ragionamento speculativo, è la dimensione onirica, irreale e metafisica, un non luogo nel quale il non spazio ed il non tempo fanno da padroni; forme, volumi, gli stessi colori si miscelano in una non dimensione: lettura dell’irreale. La vera fantasia del dandy dimora in quello “spazio”, lontano dai giudizi e padrone dell’ironia limitata del pregiudizio, grazie ad esso plasma la sua figura per incuriosire, criticare ed educare. L’educazione alla bellezza, all’arte dell’osare e del saper stare… stare in un mondo piatto convinto di esser tridimensionale.
 

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